sabato 12 settembre 2009

I PREMI DELLA MOSTRA DEL CINEMA 2009



Siamo quindi arrivati al finale della Mostra del Cinema di Venezia. Vengono fuori i premi e naturalmente fra un po’ anche le polemiche.
Da segnalare il fatto che hanno premiato le pellicole più politiche, ed hanno punito il cinema italiano, tenendo conto che un quinto dei film presentati era nostrano.
Il premio per la sceneggiatura innanzitutto: va all’acidissimo Life during the wartime, dato favorittissimo dopo la proiezione, e sicuro argento poche ore prima della premiazione. E invece deve accontentarsi del premio della sceneggiatura. Forse meritava di più, e forse questo premio lo avrei visto meglio in mano al complicatissimo Mr Nobody, il quale invece incassa il premio per il miglior contributo tecnico …
Passiamo ai migliori attori. Coppa Volpi per miglior attore maschile va a Collin Firth: assolutamente meritato, visto che è lui a reggere quasi interamente il retorico ed esteticheggiante A Single Man.
Sorpresa per il premio per la miglior attrice: va a Ksenia Rappoport per l’italiano La doppia ora, quando tutti puntavano sulla favoritissima (e bravissima) Margherita Buy per Lo spazio bianco, che fra tutti i film italiani è sicuramente stato il più amato.
Premio Mastroianni come attore/attrice esordiente va a Jasmine Trinca. Su questo ho qualche perplessità: primo perché non mi sembra che la Trinca sia così esordiente; secondo perché (pur in tutto il rispetto per la buona prova recitativa da parte di una giovane attrice) a mio parere non regge il confronto con le vincitrici degli anni scorsi (le protagonista di A burning plain e Cous Cous).
Ma forse gli ultimi due premi vanno intesi come “riparazione” al fatto che la nutrita schiera italiana non è stata premiata nei riconoscimenti più importanti.
Ed eccoli i riconoscimenti più importanti.
A sorpresa, ma è una bella notizia, il Premio Speciale della Giuria va a Soul Kitchen, un film fresco, giovane, multiculturale, divertente e musicale. E qui scommetto che c’è lo zampino del vecchio Liga, il cantante due volte prestato al cinema presente nella giuria presieduta da Ang Lee.
Il Leone d’Argento è assegnato al bello ma difficile Women without men, pellicola sulle donne nell’Iran degli anni cinquanta. Anche questo un po’ a sorpresa, perché scalza via un altro favoritissimo: Lourdes.
Il Leone d’Oro non poteva che andare a Lebanon: forse (a mio giudizio) non il migliore film presentato alla Mostra, ma sicuramente questa lucida e spietata pellicola antibellica era l’unica di fronte alla quale si potevano inchinare tutti insieme i componenti della giuria.
Grandi sconfitti Lourdes, e questa è una grave mancanza, e Capitalism di Micheal Moore, ma era difficile vederlo vittorioso dopo aver già sbancato Cannes con Farenheit.
E sicuramente il cinema italiano, in particolare Baaria, e pure la Medusa, società distributrice (praticamente monopolista), che contava molto sul film di Tornatore. Ma la pressante compagna promozionale per il film non deve averlo favorito.
Altre considerazioni. Si capisce che i due Leoni sono andati a film collocati narrativamente nel passato, ma che si collegano fortemente al presente prendendo chiare posizioni su eventi politici recenti. Quindi la giuria ha dato un chiaro segnale. Il cinema italiano presente alla Mostra, per quanto di qualità sicuramente maggiore rispetto ai due anni precedenti, sembra non voler collegarsi al presente, non lo racconta. Preferisce narrare di un passato che non c’è più, da rimpiangere e staccato dal presente. Il successo di Gomorra a Cannes l’anno scorso non ci ha insegnato molto….


Troverete le recensioni della Mostra del Cinema sul sito della Rivista Culturale L’Avocetta www.lavocetta.it.

mercoledì 9 settembre 2009

REDCARPETISTI

La passerella è un po' triste quest'anno. L'altro ieri è passato il rivoluzionario Chavez, qui a sperimentare l'ebbrezza del politico in veste di star. Ma non regge il confronto con le varie Charlize Theron, Anne Hathaway, Keira Knightley viste gli anni scorsi. IEri è passato Clooney, presente alla mostra con il film The men who star at goats, in compagnia della nostrana Canalis, presente alla mostra con Videocracy(....).
ma George è una presenza talmente fissa alla mostra da essere quasi più abitudinario di Lino Toffolo. Il prossimo anno non vale più.
Molto più divertente il passaggio oggi pomeriggio, in sordina e non pubblicizzato, del regista Abel Ferrara (ha presentato il suo Napoli napoli napoli, bel documentario sulla città partenopea da consigliare a tutti).
Con la camminata da bluesman alcolizzato e camicia sbottonata, il regista ha attraversato il red carpet in compagnia della sua claque personale, pronta a lanciare il suo coro da stadio: "Abel! Abel! Abel!"


Troverete le recensioni della Mostra del Cinema sul sito della Rivista Culturale L’Avocetta www.lavocetta.it.

martedì 8 settembre 2009

ANCORA SU MOORE (E BERLUSCONI...)

Il buon vecchio Michael Moore non può perdere l’occasione di parlare anche di Berlusconi. E così capita che in conferenza stampa parli della difficile situazione politica italiana, del deficit di libertà di stampa, dei vari probemi legati al Presidente del Consiglio…ma ad un certo punto si ferma e cerca di tranquillizzare la gente che ha di fronte. “Tranquilli, sto scherzando: io e Berlusconi siamo grandi amici!” e poi grida, facendo un gesto con la mano verso una porta come per invitare qualcuno ad entrare “dai Berlusconi, vieni, ti stiamo aspettando tutti, lo scherzo è finito”.
La sala scoppia dal ridere (qualcuno fischia). Ma la cosa triste è che molti giornalisti lì presenti hanno veramente allungato il collo per vedere se Berlusconi fosse effettivamente dietro la porta, perché non si stupisce più nessuno che il Presidente del Consiglio italiano possa saltar fuori facendo il cucù…

domenica 6 settembre 2009

Michael Moore a Venezia

A vederlo Michael Moore (a Venezia per presentare il suo Capitalism: a love story, atto di denuncia verso il sistema economico e politico internazionale), sembra un po’ il gigante buono Hagrid della serie di Harry Potter. Ed infatti non ha nulla di bilioso come tanti suoi corrispettivi italiani. Entra in sala stampa con la sua mole imponente e il suo sorriso benevolo, pronto a scherzare e a fare battute. Ad un giornalista di Hong Kong riferisce che ha sempre difficoltà a trovare un tecnico hongkonghese per riparare l’elettrodomestico fabbricato nella città orientale. Poi precisa “questa battuta possono capirla solo gli americani…”
Alla questione (un po’ più seria ) qual è lo stato di salute degli USA, risponde che per fortuna la voglia di democrazia in America è sempre alta, solo che non si può limitarla ad un voto ogni 4 anni. La democrazia è qualcosa che interessa i cittadini ogni giorno. “Nel film facciamo vedere come migliaia di bravi lavoratori sono stati rovinati per scelte che hanno compiuto pochi altri al loro posto”.
Ciò nonostante bisogna avere fiducia nel popolo. “Fino a qualche anno fa non avrei mai scomesso che un afroamericano sarebbe diventato presidente ed invece è successo. Questa è la dimostrazione che ci può essere una rivoluzione dal basso senza violenza”. Naturalmente Obama non può fare tutto da solo: “la democrazia è partecipazione innanzitutto, non uno sport da assistere in televisione”.
Alla domanda se vuole seguire le orme di Schwarzenegger e darsi alla politica, risponde gridando che vuole a tutti i costi il collegio del Rhode Island (n.b.: è il più piccolo stato degli USA). Poi, più serio, afferma che l’essere semplice cittadino non significa non fare politica. Lui in particolare ha scelto il cinema per fare politica. “Qualche anno fa ho girato Sick per denunciare il fatto che il sistema sanitario USA era l’unico nel mondo occidentale a non garantire l’assistenza universale delle cure. Da allora si avviata una discussione in merito, e ora il presidente Obama è pronto a presentare una legge in proposito nonostante l’avversità dei colossi della medicina e delle assicurazioni”. Lo stesso per l’Afghanistan: all’epoca di Farenheit moore era cosciente che le sue posizioni sul ritiro non erano condivise dalla maggior parte delle persone. Oggi l’America la pensa diversamente.


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