domenica 17 febbraio 2008

LA RAGAZZA DEI CAMPANELLI - parte 1

(racconto originale già pubblicato su www.lavocetta.it)

La ragazza dei campanelli camminava spedita e leggera per calli e ponti. Dai suoi vestiti troppo lunghi e larghi per il suo esile corpo, e dalla sua borsa verde militare ridotta a brandelli ciondolavano piccolo campanelli colorati. E se lei ti passava abbastanza da vicino potevi sentire il loro suono. Sempre che non ci fosse qualche campanile, o il vociare di comitive di turisti che li coprisse. Ma era di notte che ti accorgevi maggiormente del suo passaggio, quando i veneziani si tengono nascosti dietro ai loro balconi e le pantegane escono dai canali per reclamare finalmente i loro legittimi diritti sulla città. Ecco allora dalla foschia sentivi questo suonare di campanelli che anticipavano il suo discreto passaggio. E fu di notte che finalmente la vidi. Ero affacciato sul balcone a guardare un lampione che si rifletteva indeciso sull’acqua. La mia sigaretta esalava gli ultimi respiri quando finalmente la vidi attraversare il mio campiello. Spedita, sicura e silenziosa, non fosse stato per i campanelli. Non ci pensai due secondi: scesi le scale senza prendere nemmeno il cappotto e mi gettai nel campiello . Mi misi a seguirla. Stava davanti a me. O meglio, la sua ombra e i suoni che si portava dietro erano lì davanti a me.Che poi fosse un’altra persona o solo uno spettro non avrei mai potuto esserne sicuro, perché la nebbia era tutto intorno. E non era una nebbia calata dall’altro. No, era salita dai canali; era l’acqua densa vecchia e torbida dei canali che si era alzata per coprire silenziosamente le case con grigio affetto, e guardare attraverso di essa era come guardare il fondo di Canal Grande. Ma cotanta nebbia non poteva coprire il suono dei campanelli, per cui potei seguirla con felicità almeno fino a quando non girò per un angolo…
Mi ritrovai su un campiello ristretto e silenzioso, non c’erano porte aperte non c’erano voci e soprattutto non c’erano campanelli. Provai ad uscire dalla parte opposta, ma il passaggio si affacciava sulla riva di un vischioso canale. Ritornai indietro e fu così che mi accorsi che un piccolo portoncino faceva da ricettacolo per piccoli gruppi di girovaghi notturni. Provai a suonare al citofono. Chi è? Mi domanda il microfono. Non parlai. Vabbè mi rispose il microfono. La porta mi si aprì con un affaticato suono elettrico. Entrai e mi ritrovai davanti un budello di scale che si alzava per più di un piano senza aprirsi a nessun pianerottolo, finché non finì inghiottita dentro una porta. Entrai nella stanza fui avvolto da un abbraccio di fumo da sigaretta che mi accompagnò lungo il corridoio, e mi fece accomodare. Mi avrebbe gentilmente preso il capotto se solo ne avessi avuto uno...
(segue)