venerdì 11 gennaio 2008

L'ALLUNAGGIO IN CASA DEL TURNISTA SIGNOR T


Fotografia dellaTerra fatta dalla Luna (provenienza:NASA) pubblicata sul numero di gennanio 2007 de L'Avocetta nell'articolo L'Eclissi del 2006 di Piergiorgio Marchiori


Il campanello di casa del turnista signor T suonò gracchiante alle 20 e 30 circa. La cosa lo distolse dal morbido torpore in cui era sprofondato, complice la poltrona e la distratta lettura della Gazzetta. E gli fece ricordare principalmente due cose.
La prima era che quella sera l’Uomo avrebbe conquistato la Luna, dal momento che degli americani a bordo di un missile stavano per compiere il primo allunaggio della storia dell’Umanità.
La seconda era che a fargli visita, e tenere compagnia al signor T e a tutta la sua famiglia, sarebbe venuto il compagno di lavoro signor G, accompagnato dalla sua di famiglia.
Erano due eventi decisamente importanti per la quotidianità del signor T.
Oltretutto due eventi che avrebbero coinciso temporalmente, visto che il signor T. possedeva un televisore, e che quindi avrebbero assistito tutti insieme all’evento spaziale.
Bisogna ricordare inoltre che al Signor G era negata la fortuna di possedere un televisore; ma per lo meno aveva una Bianchina con cui spesso aveva portato in giro l’amico e collega Signor T.
Ora il padrone di casa aveva finalmente l’occasione di sdebitarsi.
Richiamata così all’ordine alla meno peggio il suo nucleo familiare, il signor T si apprestava ad accogliere in casa gli ospiti….
Aperta la porta si mise ad osservare il giovanotto che gli stava sulla soglia e che era posto in avanguardia della famiglia G. “Capellone” pensò tra sé e sé. Effettivamente la crine del ragazzo non lasciava spazio ad altre interpretazioni. Lunghi boccoli biondo-castani si aprivano sul capo e si appoggiavano poi quieti sulle spalle, pronti comunque a scattare allo squillare di una qualche tromba rivoluzionaria o di quella più probabile della carica della polizia. Ad essi si aggiungeva lo sguardo con due occhi socchiusi, sempre fermi ad osservare qualcosa di sospeso in mezzo all’aria che stava sempre aldilà delle spalle dell’interlocutore, probabilmente una nuova era di paceefratellanzachestavalìlìpergiunge…
…ma lo sguardo del ragazzo fu all’improvviso ricondotto, dalle orbite extra plutoniane, direttamente a terra, da un elemento di disturbo, che però, subito dopo aver superato l’attimo di smarrimento, lo riportò nella volta astrale quando rivelò chiaramente la sua natura.
Era successo, praticamente, che la testa della figlia del signor T era sorta dall’orizzonte della grande spalla del padre, uscendo dal suo cono d’ombra. La fine dell’eclissi facciale rivelò una superficie lunare propriamente detta, sia per quanto riguardava il colorito pallido argenteo, che per i rilievi geologici, in quanto l’acne adolescenziale aveva provveduto a riprodurre fedelmente crateri meteoritici che circondavano mari della tranquillità. Proprio in mezzo a questi rilievi, si aprivano due occhi stupendi e grandi, messi sotto gli archi neri di due belle sopraciglia….. e celesti, ma di un celeste tale, che nemmeno le fughe di gas al petrolchimico non sarebbero mai state in grado di eguagliare.
La ragazza gli sorrise mostrando la transiberiana di lucido metallo che le attraversava le fila di denti, messa lì a raddrizzare le idee a qualche incisivo, che, un po’ come i capelli del ragazzo, aveva forse una tendenza ribelle di troppo: ma fu solo un attimo, perché, ricordatesi della protesi odontoiatrica che le sfigurava la bellezza, la ragazza ebbe un sussulto: si portò una mano sulla bocca e piegò la testa in segno di vergogna.
Il ragazzo, sradicato dall’estasi dal gesto di chiusa timidezza di lei, si risvegliò scoprendosi puntato a vista dagli occhi incandescenti del signor T, che accortosi dello scambio di occhiate adolescenziali non attese di proferire un “ragazzo, tutto bene?”.
Anche il signor G. capì cosa stava succedendo, e rapido diede una piccola spinta al figlio per distoglierlo dal torpore.
I due capi famiglia, una volta liberatisi dell’impaccio dei due figli adolescenti (i quali si erano scambiati un timido e insicuro Ciao), lanciarono l’una contro l’altra le mani callose e dure, e stringendosi in un aggancio trasmisero tra di loro tutta la forza di una amicizia virile, sentita, operaia, duratura, veneziana. Ed insieme ad essa tutte le esperienze di quelle mani, tutti i chiodi impiantati, tutti i martelli impugnati, tutte le sbarre piegate, tutte le ustioni sofferte, tutti i porchi e tutte le preghiere insieme lanciate al Padre Eterno, tutto scritto nero su bianco da cicatrici e calli.
-Nane, come và?-
-mi tiro vanti. Te sa, coi turni no xe facile…e ti?-
-che te vol, se tira sempre vanti anche dae nostre parti-
Le mogli se ne stavano un po’ indietro e in disparte accennando il loro sorriso più dolce e materno, salutarono figli e mariti altrui e quando alla fine poterono dedicarsi a loro stesse, portarono le loro voci a frequenze studiate a dovere per abbracciarsi in un acuto tutto casalingo.
Ma che ben ma che ben che te vedo si ma go ancora i genoci che fa mal va ben passerà quando te ga fatto l’ultima visita e sta maglia? Fratta ti? Che brava che brava…come? Si si go perso do tre chili… ma se te savessi… no dormo a notte neanca co so stanca
Quando ormai i saluti sembravano portati al termine ecco che all’improvviso apparve Zorro. O, più prosaicamente, un piccolo Zorro biondo, il novenne secondogenito del signor T, reticente nel non accettare che il carnevale fosse finito da alcuni mesi.
Naturalmente non poté scappare dalla morsa femminile.
Ma che grande che sei diventato e che bello che sei Come cresse sti fioi no te fa ne’anca in tempo ad accorgetene
Si sedettero intorno alla tavola. Il signore G si posizionò di fronte allo schermo scuro della televisione, meravigliato e invidioso. Lui possedeva la macchina. L’aveva comprata usata con tanti sacrifici,e con quella si facevano le gite ad Eraclea, o in montagna dalle parti di Pedavena. Ma Il signor T aveva la televisione. Un oggetto sacro, un cubo nero e bombato che si stagliava al centro del piccolo soggiorno appoggiato alla parete, incastrato tra la credenza e la macchina da cucire Simac. Sopra di esso come in un luogo sacro erano poste le foto di nonno Alvise e zia Pinetta.
Il signor T si alzò per accenderlo facendo girare le manopole. Lo schermo cominciò a crepitare come una carbonella elettronica. Le immagini cominciarono a focalizzarsi in un bianco e nero stentato. Forme distorte piano piano presero la forma di giornalisti seduti intorno tavolo.
- Ma la Luna ma la Luna…dov’è la Luna?- gridava il piccolo Zorro
- Sta bon sennò te mando in letto-
- ecco ecco ‘desso ea fa vedar-
Immagini satellitari sbiadite di una landa desolata.
- Però sti americani, varda ti dove xe rivai-
- …si ma i russi xe più vanti. Già i pensa de andar su…come se ciama Marte? Giove?-
- Marte Marte- gridava il piccolo Zorro- quarto pianeta del sistema solare. Li ci sono canali e allora c’è l’acqua. Sulla luna invece no perché sennò vola via-
Ma che bravo ma che bravo sto fio sa proprio tutto ma dove te l’hanno spiegato a scuola? che bravo che bravo ma impara proprio tutto. Me fio invesse no se applica ga sempre a testa par aria. Te capisso anche me fia xe cossì. Ma i fioi de incuo se fati in sta maniera parchè non ga patio queo che gavemo patio noialtri a quea età.
La ragazza e il ragazzo finsero di non ascoltare grazie al loro dono di aver la testa sempre l’aria.
Non partecipavano molto alle discussioni intorno alla tavola. Non partecipavano a nulla proprio. O forse partecipavano solo a loro stessi. Si prolungarono in un silenzio che ad occhi poco esperti sarebbero sembrato eterno. Ma gli ormoni e i sentimenti a volte possono superare anche le cortine di ferro, e senza incrociare incautamente gli occhi i due cominciarono a scambiarsi qualche banale battuta ma questo ve lo assicuro, con promettenti prospettive alchemiche. E nascondendo le pupille dietro gli occhiali per quanto riguarda lui, e la protesi odontoiatrica dietro la mano tremante per quanto riguarda lei, i due poterono costruire una discussione tutta loro senza perdersi nelle disquisizioni lavorative dei padri o in quelle domestiche delle madri, o in quelle astronomiche del piccolo Zorro. E così lei vedeva già le poesie alle stelle, e lui sentiva già i racconti agli amici.
Incuranti dei congiunti innamorati, i signori G e T sprofondavano sempre di più nel loro argomento di discussione preferito: il lavoro.
- Si xe dura coi turni. Però me so abituà..e poi te savessi, quando go el turno de notte e stacco ae sette andando fora dal cantiere me vedo ogni volta sta marea de operai che va a lavorar. Migliaia e miglia de persone … in bici, che sende daea filovia… e anca quei che no ga un scheo ne’anca par a filovia, e aeora se fa a strada tutta a pie fin da casa. Te Vedessi quanta gente. Non te rendi conto se te tacchi a lavorar. Ma se ti si drio andar via mentre staltri riva…te domandi: ma da dove riva tutta sta gente? Eppur vien fora da Chirignago, Campalto, Favaro da Malcontenta e po’ ghe xe quei da Ciosa (che se fa un bel toco in filovia) e quei da Mira. Ma ghe ne xe ancora alcuni da Venessia che no ga ancora accettà de ciapar a casa dea ditta qua in terraferma come go fatto mi (maledetta quea volta). E te dirò de più: se te me domandi chi xe sta gente te so dirte non soltanto i nomi e i cognomi, ma anche azienda, cantiere, reparto e mansion de lavoro!
Il signor T non se ne era accorto ma mentre parlava non guardava più in faccia il caro amico signor G. No: guardava il muro bianco di fronte a lui. E sul quel muro bianco andava a proiettarsi l’immagine di quel formicaio umano che i suoi occhi avevano ripreso al termine di ogni turno di notte da ormai 15 anni. Barbe capelli visi magri visi tondi, margherotti e terroni immigrati. Tutti insieme.
Il signor G non era preso da quella scena proiettata sul muro. Ogni tanto buttava l’occhio semmai sul televisore. Scuoteva la testa a mò di assenso, mentre bevevo quel buon fragolino. Finchè non decise di tirar fuori quella frase.
- Ma te ga sentio de Piero S?…-
il signor T. interruppe di colpo la sua proiezione e guardò l’amico in faccia; prese il fragolino e si riempì il bicchiere nervosamente.
- si, si , brutta storia, brutta-.
- I dixe che xe perché a lavoro scopava sempre quea polvere;- il signor G si avvicinò a T in modo che mogli e figli non sentissero- scopa incuo scopa doman..-
Scopa oggi, scopa domani, al Signor Piero quella polvere entrò nei polmoni, e i colpi di tosse non bastarono per mandarla via.
- ma mi me domando…noialtri…-
T sbottò di fronte all’amico – noialtri, noialtri cossa vusto che chiudemo tutto quanto. Te vol star casa? Quante volte gavemo battuo a testa per aver più sicuressa. E tutte e volte a gavemo ottenua. Ma dopo? Dopo dove te rivi? E poi te sa na cosa? Meglio morir de veleni che morir de fame-
- Si si xe vero, ma te sa, ghe xe dee volte che quando me alzo da letto el me sudor…--
Il signor G si interruppe perché il suo sguardo aveva appena incrociato per caso quello della moglie, che in quel preciso istante aveva abbandonato il continuo e monotono suono di scambio di battute con l’amica (la quale era rimasta abbastanza imbarazzata da questa interruzione), per trasfigurarsi in una figura mistica matriarcale, la cui altezza superava di almeno un metro la statura media dei commensali (Piccolo Zorro escluso): il suo sguardo, la cui visione diretta non poteva essere sostenuta da essere mortale, stava fulminando il corpo del marito, reo di aver aperto una porta della stanza dei Tabù. Non doveva aprire quella porta. Forse non doveva aprirla in quel preciso momento nel salotto dei loro amici. Forse c’era un patto implicito di tenere quella porta sempre sigillata. Fatto sta che i due uomini si zittirono e non continuarono più quel discorso per tutta la serata. La signora G. ritornò alle sue spoglie terrene, e con un chiaro sorriso rivolse di nuovo gli occhi all’amica e riprese il discorso da dove lo avevano lasciato pochi istanti prima.
Nel frattempo il piccolo Zorro cominciò a cedere a quella particolare forma di stanchezza che (ma solo nei bambini) riesce ad arrivare esattamente dopo una fase di grossa eccitazione. Quando gli occhi cominciarono ad essere incredibilmente secchi, e le mani non riuscivano a strofinarli abbastanza da metterli apposto, cominciò ad abdicare all’idea che la compagnia della gente attorno a lui, sorella compresa, si rivelava al quanto monotona e noiosa, e che pure la trasmissione in televisione era alquanto tediosa, per cui tanto valeva la pena abbandonare la situazione, e immaginarsi una realtà migliore, dal momento che Morfeo era per giunta arrivato giusto in tempo per dare una mano. Ecco allora che si vide avvicinarsi al gran complesso industriale di Porto Marghera, insieme ad una miriade di persone che come lui (chi in bici, chi a piedi , chi in filovia) si apprestava a prendere i missili lì pronti a partire per lo spazio. Si perché le grandi ciminiere, altro non erano (come lui aveva sempre sostenuto ma tutti avevano sempre negato) che astronavi, e i loro scarichi, (magari si, velenosi, ma chi se ne frega!) i residui della combustione del carburante utilizzato dai motori. Perché in fondo anche le auto fanno fumo! Preso il primo missile pronto alla partenza (e salutati sarcasticamente con la manina la sorella e il suo nuovo amico che come beoni si erano attardati per strada per chissà quale motivo) incominciò il suo viaggio siderale. La luna fu sorpassata rapidamente: la vera destinazione era Marte! Giunto finalmente lì trovò gli americani che con grande solennità impiantavano la gloriosa bandiera a stelle strisce sul suolo marziano; ma erano tutti un po’ scornati: i russi erano arrivati prima!
Ma ormai questa era una polemica che sarebbe presto stata abbandonata: la flebile alternanza tra sogno e fantasia del piccolo novenne aveva ormai ceduto di fronte alla nebbia scura e calda del sonno, che coprì tutto l’orizzonte marziano e avvolse e cullò il bambino in un definitivo letargo.
Incurante della scena di fronte ad essa, la televisione proseguiva imperterrita nella sua trasmissione.
A seguirla c’era rimasto solo il signor G, indeciso tra guardare affascinato non tanto il programma quanto il suo contenitore, e il pensiero della tentazione corrosiva di licenziarsi e abbandonare per sempre il rischio di ammalarsi.
Alla fine decise un compromesso tra le due opzioni: la sua scelta sarebbe stata quella di continuare a lavorare al petrolchimico fintanto che non avrebbe avuto soldi a sufficienza per comprarsi un televisore.
Ad un’osservazione superficiale ad alcuni sarebbe sembrato che anche il signor T stesse seguendo la trasmissione, ma in realtà continuava a proiettare davanti a sé l’immagine della Classe operaia che marciava verso la gloria.
Ad un certo punto però la televisione volle riprendersi la sua rivincita. L’attenzione dei presenti fu infatti richiamata dall’annuncio di Tito Stagno che l’allunaggio era stato compiuto.
Gioia, risate, vari Finalmente gridati sospirati, vino versato, bicchieri incrociati, brindisi alla Luna, mani che si toccano sotto la tavola, pensieri abbandonati, battute oscene (zitto che il bambino sente), rigurgiti sopiti.
Ma il giornalista aveva semplicemente sbagliato una traduzione dall’inglese di una frase, e la Luna non era ancora stata raggiunta…



1 commento:

semperinsanafoemina ha detto...

E' un piacere leggerti.
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